Oggi travalicheremo un po’ i sacri limiti della letteratura erotica tradizionale per presentarvi un vero e proprio capolavoro di arte letteraria pornografica: Ifigonia in Culide. Inutile sottolineare che si tratti di un’opera latamente goliardica e dotata di quella patina di volgarità che si addice ogni tanto a dei testi a sfondo sessuale. La sua storia è davvero pittoresca: basti pensare che tuttora i suoi autori sono sconosciuti al mondo sebbene per anni, decenni gli alunni delle scuole superiori e delle università si siano passati questo testo tramandandolo di generazione in generazione al pari di un testo sacro.
Chiunque sia stato merita senza dubbio un encomio. Non solo per la scelta di una metrica precisa dal punto di vista strettamente tecnico e poetico della questione, ma soprattutto perché la fantasia erotica italiana non poteva trovare maggiore compimento se non in questa opera. Si tratta, lo ricordiamo, di un atto teatrale in tre atti che si svolge in quel di “Culinto” nel 69 d.c. (ogni riferimento sessuale della data è decisamente voluto, n.d.r.) con i seguenti personaggi:
- Banano I, Re di Culinto;
- Filippa, Regina, sua moglie
- Ifigonia, loro figlia
- Allah Ben Dhur, primo pretendente
- Don Peder Asta, secondo pretendente
- Conte Uccellone di Belmanico, terzo pretendente
- Spiro Kito, quarto pretendente
- Enter O’ Clisma, gran sacerdote
- In Man Kag, gran cerimoniere
- Bel Pistolino, elefante sacro
- Coro di nobili, vergini e popolo
Ognuno di questi personaggi ha un nome riferibile ovviamente a goliardie sessuali e parodistiche. Spiro Kito, ad esempio, prende il nome dal batterio alla base della sifilide, malattia sessualmente trasmissibile. La storia , riassumendo è la seguente: Ifigonia è la principessa di Culinto. Vergine, spera che il padre la dia presto in sposa in modo da essere deflorata in breve tempo. Il veggente di palazzo spiega però che l’uomo adatto potrà essere solo colui che sarà in grado di rispondere ad un indovinello. Principi di grande valore sessuale si presentano: ma solo uno sposerà Ifigonia. Con un finale davvero inaspettato.
Qui di seguito il testo, nella versione che a noi pare più possibile all’originale:
ATTO PRIMO
SCENA:
Le porte sono spalancate per dare accesso al popolo Entra il gran cerimoniere.
Gran Cerimoniere:
O popolo bruto, su snuda il banano
non vedi che giunge l’amato sovrano ?
Il Sir di Corinto, dal nobile augello
qual mai non fu visto piu’ duro e piu’ bello.
Il sir di Corinto dall’agile pene
terrore e ruina del fragile imene;
il sir di Corinto dal cazzo peloso
del cul rubicondo ognora goloso.
O popolo invitto, in gesta d’amore
s’affermi il Sovrano piu’ caro al tuo cuore.
Rendiamogli omaggio nel modo migliore,
offrendogli il culo delle nostre signore.
Popolo:
Noi siamo felici, sappiategli dire,
che tutto al Sovrano c’e’ grato d’offrire.
Le nostre consorti facciam preparare
in modo che a turno le possa inculare.
Noi siamo felici, noi siamo contenti
le chiappe del culo porgiam riverenti,
che al nostro gentile e amato Sovrano.
rimanga gradito il buco dell’ano.
(Entra il seguito della Corte. Le nobili dame hanno le parti del corpo desiderabili leggermente velate.
Il Re, con noncuranza, tocca di tanto in tanto le forme delle damigelle piu’ carine.)
Re :
O sudditi amati. io resto confuso!
Il turno dei culi che offrite per l’uso
sara’ piu’ gradito al regio mio cazzo
che mai troverebbe migliore sollazzo.
La gioia che mi dai o popolo e’ si grande
che gia’ l’uccello regio distende le mutande.
Per mio regal decreto sara’ da stamattina
distribuita ai poveri gratis la vaselina:
che al fine permetta, finche’ lo vogliate,
di fare nell’ano gloriose chiavate.
Voglio sian compensati i sudditi fedeli:
il cul pigliate pure, ma state attenti ai peli.
(Segni di giubilo)
Cerimoniere :
Adesso fuori dai coglioni
per lasciar posto ai Principi e ai Baroni.
Ai Principi e ai Baroni e ad Ifigonia bella
che sospirando brama l’ardor d’una cappella.
Coro delle vergini (Danzando):
Noi siam le vergini dai candidi manti,
siam rotte di dietro, ma sane davanti;
i nostri ditini son tutti escoriati,
a furia di cazzi che abbiamo menati.
Nell’arte sovrana di fare i pompini
battiamo le troie di tutti i casini;
la lingua sapiente e l’agile mano
dan gioia e sollievo al duro banano.
Ifigonia :
Padre mio, padre mio.
sono presa dal desio.
Ho gia’ un dito che fa male
per l’abuso del ditale;
ho la fica che mi tira
come corda di una lira
sto soffrendo atroci pene
del prurito dell’imene,
nella fica ho persin messo
la manopola del cesso
mi ficcai nella vagina
la piu’ grossa colubrina;
mi son messa dentro il buso
sino il cero di Caruso;
mi piantai nel deretano
cinque dita, e la mano.
Credo giunto sia il momento
di donarmi un Reggimento
che non sappia manovrare,
ma sia lesto nel montare;
nella fica anelo tanto
d`appagarlo tutto quanto…
me la sento rovinata
senza averla adoperata.
Padre mio si forte e bello
ho bisogno di un uccello:
d’un uccello di nobil schiatta
che mi sballi la ciabatta,
di una fava grossa e dura
che ricrei la mia natura.
Manda un bando per il Regno,
sia trovato uccello degno
che finisca le mie pene
spalancandomi l’imene.
Padre mio se non mi sposo
moriro’ senza quel Coso.
Re :
Giuste sono le tue brame, o figlia bene amata,
s’io padre non ti fossi, di gia’ ti avrei chiavata.
Con la regal consorte, tua madre la Regina,
n’ho fatte diciassette soltanto stamattina.
E se alle mie brame non ponessi un freno
non passan tre minuti che il bandolo mi meno.
Vedendo tanti culi di Principi e Baroni
mi sento un gran prurito nel fondo dei coglioni.
Popolo :
Noi siamo felici, noi siamo contenti
si rizzano i cazzi tuttora pendenti.
Madama Ifigonia soave e pudica
gia’ sente prurito nell’inclita fica.
O Giove possente, che Venere bella
le faccia gran dono di tale cappella:
che il culo le rompa, le rompa l’imene
e infine la tolga da tutte le pene.
Sia pago il desio alla vergine cara
meniamoci il cazzo in nobile gara.
(Tutti eseguono)
Ifigonia (rivolta al popolo):
Quanta fava, quanta fava.
ma perche’ nessun mi chiava?
Su donatemi un uccello,
un uccello lungo e bello:
nella fica e poi nell’ano
che mi entri piano piano.
Ho gran voglia di godere
ve lo chiedo per piacere.
Deh non fatemi soffrire
ve lo pago mille lire.
Re:
Udendo le tue giuste e oneste aspirazioni,
d’orgoglio mi ribolle lo sperma nei coglioni:
con animo commosso, vedo tra i bianchi veli
spuntare nere le punte dei tuoi peli.
Non voglio che si sciupi tanto lavoro mio,
con sforzo, forse, potrei chiavarti anch’io.
Il sacerdote venga, si appresti al sacrificio:
Enter O’Clisma tosto ne tragga lieto auspicio.
Cerimoniere :
S’avanzi Enter O’Clisma, il Sacerdote,
dal culo piu’ vezzoso delle gote.
Sacerdote (entrando) :
Al Sire di Corinto, Signore degli Achei,
auguro cazzi in culo non men di trentasei.
Re:
Al Gran Sacerdote, d’ogni rispetto degno
venga dato, in omaggio, un bel cazzo di legno.
Gran Sacerdote :
La tua proposta, o Sire. mi rende il cuore gaio.
pero’, l’avrei piu’ caro di ben temprato acciaio.
Popolo :
Noi siamo felici, noi siamo contenti,
prendiamo l’ucccllo ben stretto tra i denti,
che al Gran Sacerdote quel cazzo d’acciaio,
il culo gli renda siccome un mortaio!
Gran Sacerdote :
Sono corso immantinente alla regal chiamata
lasciando quasi a mezzo la solita chiavata.
Pazienza! Se il ciel non me lo lega,
mi rifaro’ di certo con una bella sega.
Esponi il tuo desio, o gran Sire venerando,
in fretta, te ne prego, non vedi come bando?
Re:
Alla mia amata figlia, la pallida Ifigonia,
da qualche tempo, prude la rorida begonia.
O Sacerdote sommo, chiuditi in sacrestia,
prendi l’uccello in mano e fanne profezia!
Gran Sacerdote:
Eseguo senza indugio i tuoi detti, o Signore,
augurandoti in culo cazzi sessantanove.
(il Gran Sacerdote esce da destra…)
Ifigonia:
Padre mio, padre mio,
questa volta l’avro’ anch’io.
Sospirando quel belino
voglio farmi un ditalino,
domandandovi permesso
vado a farmelo nel cesso.
(Fa per avviarsi)
Re (trattenendola):
Rimani, o sconsigliata; il padre tuo diletto
innanzi al popolo tutto ti grattera’ il grilletto,
mentre il Cerimoniere, memore del mio pegno,
mi inculera’ di dietro col suo cazzo di legno.
Se con le bianche mani mi tiene su i coglioni
vedrai nella mezz’ora quaranta polluzioni.
Popolo :
Noi siam felici, noi siam contenti,
il re che L’ha duro in tutti i momenti;
seguiamo l’esempio del caro sovrano.
facciamoci forza, pigliamolo in mano!
Gran Sacerdote (entrando) :
Nel libro del futuro ho aperto uno spiraglio
rompendo un culo vergine col mio peloso maglio;
Re:
I detti tuoi sapienti sian rapidi e fatali
come fuor dell’ano i nodi emorroidali.
Gran Sacerdote :
Seguendo il tuo consiglio o re buono e sapiente,
misi L’uccello duro sopra un braciere ardente,
lessai il coglion sinistro, ne bevvi poscia il brodo,
grande e divino auspicio traendone in tal modo:
questa e’ la frase magica che ho letto nel librone:
“Nessuno vada in figa se privo di goldone,
e che in figa a Ifigonia nessun metta l’uccello
se prima non si svela l’arcano indovinello.
Tra i principi del sangue dal bel tornito uccello
bandito sia il concorso con un indovinello,,.
Cerimoniere (al popolo) :
Toccatevi i coglioni, se li avete.
perche’ vcdo transitare un prete.
(Tutti si toccano i coglioni, e Ifigonia, che non li ha, con una mano tocca
con leggiadria ed amore le grosse palle del Sovrano, ed esegue… con
l’altra, seduta su di un orinale)
ATTO SECONDO
SCENA:
La stessa sala. Sono presenti i principi pretendenti di Ifigonia con il loro seguito,
in esecuzione alla profezia di Enter O’Clisma. I pretendenti si presentano.
Hallah Ben Dur :
Superando monte e valle
v’ho portato le mie palle;
e riempio un gran mastello
con il brodo del mio uccello.
Don Peder-Asta :
Sarete delusa di tutti sti doni
guardando d’Oriente i gloriosi coglioni:
ho riempito quattro stalle
col sudor delle mie palle!
Uccellone, Conte di Belmanico :
O fulgida stella, o figlia del Re,
deh guarda il dono portato per te!
Ho riempito una caserma
solamente col mio sperma.
Spiro Kito:
Io sono Spiro Kito,
dalle palle di granito.
Ho creato un nuovo lago
col prodotto del mio mago.
Cerimoniere (impaziente) :
Si avanzino separatamente i pretendenti
fate largo, e al culo state attenti.
Hallah Ben Dur :
Io sono Hallah Ben Dur , dal poderoso uccello,
e dall’Arabia vengo a dorso di un cammello.
Il viaggio fu si lungo e percorso senza tappe
che per lo strofinio mi bruciano le chiappe.
Ed or, giunto alla fin di questo mio viaggio.
ho piedi, fava e culo che puzzan di formaggio.
Rinunciai in Bagdad a un favoloso ingaggio
spronato dal desio di misurarti il raggio;
il raggio della fica. o dolce Principessa,
perche’ ardo dal desio di romperti la fessa.
Sul dorso di un cammello so far mille esercizi,
infransi piu’ d’un culo all’ombra dei palmizi.
Le mie palle lucenti, senza badare al puzzo,
sembrano per il volume le uova di uno struzzo.
Son bruno, ardito, forte, devoto mussulmano
e dall’Arabia tutta certo il miglior banano.
Con L’aiuto d’Allah sciorro’ l’indovinello
e deporro’ ai tuoi piedi il mio abbronzato uccello.
Ifigonia (leggendo):
Si dice che un giorno un cortese prelato
avendo per via un capro chiavato
s’accorse piu’ tardi che l’estro di maggio
rendealo padre di un ibrido paggio.
Cerimoniere:
Se non rispondi nella settimana
faro’ del tuo scroto una sottana.
Hallah Ben Dur :
Non so… quel prelato…
se un capro ha chiavato…
io penso con duolo
che ha preso lo scolo.
Popolo (facendo scongiuri):
Noi siamo infelici, noi siamo scontenti,
ti secchino il cazzo i nostri accidenti!
S’affloscian gli uccelli in segno di duolo
quel testa di cazzo ci parla di scolo.
Cerimoniere:
Il primo pretendente e’ bello e fritto,
venga il secondo con l’uccello dritto.
Don Peder-Asta (al Re):
Palpita il cuore mio per tale lieto evento!
t’auguro cazzi in culo settecento!
Sono principe e barone, signor del Mozambico
e rompo fiche e culi col mio prestante fico;
vi dico per sicuro, che ho sempre il cazzo duro
ma di mente molto fina,
viaggio sempre con vaselina.
Son Principe di sangue, son nobile spagnolo
che per poter fottere, mancando il protargolo,
uso il preservativo. per non subire l’onta
di prendere lo scolo all’atto della monta.
(Ifigonia. provocatissima, scopre le anche, porgendo la fica alle labbra del Grande di Spagna).
Ifigonia :
O Principe sapiente, venuto ai miei pie’.
da quanto tempo pensi non uso piu’ il bide’ ?
Don Peder-Asta :
Se il fiuto non m’inganna,
o mia adorata fata,
io debbo dirti che
non ti sei mai lavata !
Popolo (incazzato):
Noi siamo infelici, che fan sti coglioni?
Lo sanno gli Svizzeri dei Quattro Cantoni
lo sanno le troie, lo sanno i lenoni,
lo sanno persino i nostri coglioni.
Fu il di di Giunone, con mossa pudica,
che madonna lfigonia lavossi la fica.
Coi suoi venti chili di augusto formaggio
fu falta una palla di un metro di raggio.
Al Prence sia data la pena infamante
di prenderlo in culo dal Sacro Elefante.
Cerimoniere :
Del Popolo sian tosto eseguiti i voleri:
venga Bel Pistolin coi suoi venti staffieri!
Quaranta frombolieri intanto, piano piano,
L’aiuteranno un poco col palmo della mano.
E nel caso imprevisto che non gli venga duro,
gli fregheran con garbo la punta contro il muro.
(Entra Bel Pistolino, dando evidenti segni di giubilo: la scena si svolge alla presenza del popolo)
Popolo :
Pompa. pompa come un mulo
fagli tremare le chiappe del culo.
Daglielo duro, sburagli mollo,
fagli tremare le vene del collo.
Cerimoniere:
Il secondo campione e’ liquidato,
sia almeno il terzo Prence il fortunato.
Uccellone :
Sono il nobile Uccellone,
sono conte e son barone,
chiavo donne a buon mercato
col mio cazzo fortunato.
La mattina appena desto
me lo meno lesto lesto,
poi mi sparo, a colazione,
qualche rapido raspone.
Prima ancor di mezzogiorno,
nobil donne del dintorno
fanno a gara, porco zio,
per provare il cazzo mio.
Quattro seghe a mezzogiorno
non fan male per contorno.
Verso sera per divario
rompo qualche tafanario,
alternando col pompino
la chiavata a pecorino.
Se son stanco, verso sera,
chiavo sol la cameriera.
Sulla punta del mio pene
non si contan le flittene.
Vedi, bando come un mulo
alla vista del tuo culo.
Ifigonia:
Sai tu dirmi il mistero della sfinge,
la quale prima caca e dopo spinge?
Uccellone :
Mi riesce, Ifigonia, la tua parola oscura.
il cazzo gia’ mi suda di pallida paura.
ll Ciel mi fu avverso, ignoro il mistero;
mi mette terrore un nero pensiero!
Gia’ vedo il mio culo sfondato all’istante
dal cazzo tremendo del Sacro Elefante!
Gia sento roteare in rotto e alterno moto
i possenti testicoli entro il peloso scroto.
Ho nel fondo del cuore una puntura sorda
come una dozzina di piattole che morda.
Conobbi una fanciulla dalla parola oscura,
mi sento tremebondo,preso dalla paura.
Re (sdegnato):
Tu che, fra tanti, brami la mano di mia figlia,
col culo pieno d’aglio farai le Mille Miglia.
Cerimoniere :
Tosto venga eseguito del Sovrano il volere:
si porti senza indugio d’aglio un gran paniere.
(Uccellone scoppia in una gran risata).
Re:
Tu ridi, sconsigliato, davanti al gran travaglio
di far la Mille Miglia col culo pieno d’aglio?!
Uccellone :
Mi fate solo pena o poveri coglioni,
che’ per riempirmi il culo ne occorron tre vagoni.
Col culo pieno d’aglio, novello errante ebreo;
io freghero’ in volata la rossa Alfa Romeo.
Cerimoniere :
Sian tosto eseguiti i comandi del Sire,
col cul pieno d’aglio ei deve finire.
Ifigonia (piangendo):
Addio mio Bel Manico nobil Signore,
a pcrder il tuo cazzo non si rassegna il cuore.
Non hai colpa veruna, se con l’uccello dritto
giammai non scandagliasti la Sfinge dell’Egitto
se solo in mille fiate, alla tua chioma fulva,
s’intrecciano tenaci i peli della vulva.
Re :
Non piangere Ifigonia, lustro dei peli miei,
sio paziente e devota ai detti degli dei.
Cerimoniere :
Il terzo, a quanto pare, e’ bello e fritto,
s’avanzi il quarto, col banano dritto.
(Il Principe Spiro Kito, figlio del Sol Levante, si avanza nei paludamenti di Gran Samurai.)
Spiro Kito:
Il Regno di Budda manda il mio cuore,
io vengo dal Regno del mandorlo in fiore.
Son Duca d’Oriente, nomato Spiro Kito,
ho il cazzo si duro che par di granito.
Ancora bambino, giostrando da pazzo,
sembravo potente nell’uso del cazzo;
potente a tal punto. sebbene maschietto,
da farmi pensare a tenzoni da letto.
Poi vinsi il primato persin nei casini,
campione invitto di fiche e pompini;
tal che le ragazze, godendoci anch’esse,
s’offrivan per nulla, le povere fesse.
Un’unica volta, una donna di rango
negommi convegno nel giro di un tango:
l’attesi, e quando s’offri l’occasione
le roppi il culo con uno spintone.
Cosi la mia fama varcando le mura
di questa, diciamo, casa di cura,
giungea alle bimbe di buona famiglia
dove la madre, piu’ bon della figlia,
cullava L’uccello con docile mano
per fare alla figlia rompere l’ano.
Or passo all’azione, domanda Signora
qualsiasi indugio va a danno dell’ora.
Popolo :
Noi siamo felici e non siamo sciocchi
questo senz’altro e’ un cazzo coi fiocchi.
Spiro Kito:
Io vengo dal paese dei mandrilli
dove si va nel culo pure ai grilli.
Son figlio del Giappone, Spiro Kito,
ed ho un paio di coglioni di granito.
Facciamo presto con le spiegaziohi,
che’ e’ tempo di sbrodar nei pantaloni.
Ifigonia :
Eravi un eremita a Poggibonsi
che non cacava, e non faceva stronzi;
or sai tu dirmi, quando ei ruttava,
ai suoi fedeli che impressione dava ?
Spiro Kito:
A tanto indovinello una risposta sola:
quell’eremita avea il retto nella gola.
La storia gia’ ci parla del Principe Gargiulo
il quale avea la faccia che somigliava al culo.
Son piu’ che certo, e posso dirlo lieto,
all’eremita un rutto, puzzava come un peto.
Il Cerimoniere apre la pergamena e approva. Il Re s’avanza, congiunge le mani dei due giovani Principi sanzionando l’unione, mentre il popolo e gli astanti si inginocchiano in religioso e muto ringraziamento agli Dei e le vergini innalzano al cielo il loro tenue canto.
Vergini :
O Venere buona, o Venere bella,
provvedi noi pure di dura cappella
e come a lei, Principessa ed amica,
ci capiti in dono l’uccel nella fica.
Re:
Un principe che ha tanto di cervello
ragiona certamente con l’uccello.
Per Ifigonia mia, devota e grata
ecco la fava tanto sospirata!
Sii degna dell’uccel che t’ho donato
non obliando i fasti del Casato:
la grande Filiberta. illustre e saggia,
il culo s’incendio’, con l’acqua ragia,
preferendo la morte al nero duolo
di curarsi lo scol col protargolo;
Vulvina Bartolino, sua germana,
che arrossiva sbucciando una banana,
in un momento di furor demente
s’uccise con lo sperma di un serpente.
La nobil Filiconia, tua bisava,
sempre in lizza nel gioco della fava,
mori’. vetusta d’armi, in un bordello
col cuore trapassato da un uccello.
Ifigonia :
Il sorriso della fica,
la mia gioia alfin vi dica.
Son contenta. son beata.
che’ alla fin saro’ chiavata.
Ma vi giuro sugli Dei
di pensare ancora ai miei:
tanto al Re che alla Regina.
quando m’alzo ogni mattina;
con il segno del littorio,
ed a mamma l’originale
Dunlop, cazzo artificiale.
Popolo :
Noi siamo felici, noi siamo contenti
s’innalzano i cazzi di gioia frementi:
porgiamoci tosto il culo di sponda,
L’uccello del Prence di gioia c’inonda.
Vergini:
Noi siamo le vergini dai candidi manti,
s’intrecciano i cazzi, s’innalzano i canti;
il grande fattaccio ci dona gaiezza
e per la gran gioia tagliamo la pezza.
S’intreccian le danze, s’innalzano i canti,
per farci chiavare useremo i guanti.
Lasciamo le seghe, lasciamo i pompini,
lasciamo un istante i bei ditalini;
E’ giorno di festa, l’azzurro pervinca
mettiamo all’occhiello del muso di tinca;
seguendo l’esempio del popolo intero,
un grosso banano ci laceri il velo.
Cerimoniere:
Per celebrare l’evento risuoni nella Reggia
in segno di giubilo. almeno una scorreggia.
ATTO TERZO
SCENA:
La camera nuziale. Nei quattro angoli, quattro bidet dove bruciano profumi. Nelle pareti bracieri accesi.
Pezze di marchese sparse. In fondo, un water closed con catena d’oro. Ifigonia e Spiro Kito giacciono sul talamo.
Ifigonia:
O amato Spiro Kito. Prence e Samurai,
il tempo passa e non mi chiavi mai!
Spiro Kito:
Desisti, o Principessa, dal chieder spiegazioni
non vedi che cominci a rompermi i coglioni?
Ifigonia :
Fammi vedere le palle di solido granito,
fammi toccar l’uccello almeno con un dito;
che brami Spiro Kito dalla tua dolce amica,
vuoi farmi il culo o ripulir la fica?
Spiro Kito:
C’e’ una cosa, Ifigonia, che ancora non t’ho detto,
un segreto terribile che freme nel mio petto.
Ifigonia:
Oh parla Spiro Kito, mio divino,
t’ascolto col canal di Bartolino.
Spiro Kito:
Un giorno, or son quattr’anni,
soffrendo per un callo
stavo prendendo un bagno
nel Grande Fiume Giallo,
e, come fanno i nobili Signori.
io giravo in culo a paggi e valvassori.
Quand’ecco passa altero un bonzo di Kul-Su’.
col quale ero si amico che ci davam del tu,
ed egli mi propose, con sordido cinismo,
di fare nel suo culo un giro di turismo.
Altra cosa non volli, e, come un folle toro,
soffiando, a capo basso, glielo ficcai nel foro.
Ma, a quell’infame bonzo, nel nero tafanario,
albergava da tempo un verme solitario,
che mentre io mi godea il morbido budello
mi si mangio’ pian piano la punta dell’uccello.
Il Prence Spiro Kito, per questo caso strano,
possiede ancor le palle, ma e’ privo di banano;
ed or mia diletta, quando vuol godere,
non ha altra risorsa che il buco del sedere.
Vedi, mi fai pentire d’esserti vicino,
per placar le smanie fatti un ditalino.
Or non e’ il momento di fare una chiavata,
il cane pechinese proceda alla leccata.
Passata da tempo e la mala avventura,
che tolsemi il membro di madre natura!
Ed or per il tuo bel sesso gentile
io dunque t’ho fatto un Pesce d’Aprile.
Io sono impotente, in caso si bello;
in modo assoluto mi manca l’uccello.
Non godo di dietro a modo di prete.
E’ noto che il prete modello e perfetto.
privato dell’uso di maschio uccelletto,
se preso da brama di ibrida voglia
qualunque desio nel culo convoglia.
Ifigonia:
E vero che i preti, a quanto mi dici, I
prendendolo a tergo si rendon felici,
ma molti son quelli. lo provano i fatti
che in barba alle leggi si chiavan da matti.
D’esempio sia al mondo, per detto Egiziano,
di Cesare invitto l’uccello sovtano.
Ignobile fellone, vil traditore,
la nobile Ifigonia getti nel disonore.
Fui vittima innocente di un infame tranello;
il verme divorarti potea cuore non uccello.
Crudele e perverso mi e’ stato il destino,
scegliendo a consorte per me un culatino.
Spiro Kito:
Tristi giorni un dl trasCorsi con i resti dell’uccello
mi chiusi in una torre sovrastante il mio castello,
tristi notti solo. mesto, tutto avvolto nei neri vei
mi strappavo ad uno ad uno
bestemmiando tutti i peli.
Dieci giorni, dieci notti. solo, muto come un reo,
mi pelai tutto lo scroto con l’accluso perineo.
Dieci notti, e quand’ebbi
manco un pelo sul coglione,
senza L’ombra di un conforto
mi gettai giu’ dal balcone.
Fu un istante…
giunto al suolo dileguossi il mio tormento,
per dar luogo ad uno strano novello godimento.
Volle il cielo, assai benigno, che nel rapido
mio giro, io cadessi con il culo
sull’uccello di un fachiro,
che da circa quarant’anni meditava sotto il muro
scarno, muto, impassibile, con il cazzo sempre duro.
Benedetto sia per sempre
quell’uccello e quel momento
che la porta disserrommi al soave godimento.
Da quattr’anni sempre in viaggi
per citta, paesi e corti,
io di uccelli assai ne ho presi:
lunghi. grossi, dritti e storti,
bianchi, neri, rossi e gialli, prepotenti e timorosi
malmenati stranamente, tatuati e rumorosi.
Ifigonia:
Giove mio, Giove mio,
perche’ mai non chiavo anch’io?
Perche’ scrisser nel libro del destino
che andar dovessi sposa a un culatino?
Spiro Kito:
Ferma i tuoi detti alteri, o Ifigonia e basta;
rispetta, se non l’altro, l’arte pederasta.
Vedo che tu le gioie non sai dell’intestino
te lo dice un esperto e vecchio culatino.
Re (entra con una scatola in mano) :
Ho sentito rumore dalla stanza vicina,
state cercando forse la vasellina ?
(Ifigonia, furiosa per la delusione subita, si avventa sui coglioni paterni.)
Ifigonia :
Anche la vasellina, nuovo schetno,
o padre snaturato. va all’inferno.
Ora ti mangio il destro e poi il sinistro,
e sta certo che neanche il dio Calisto,
se pieta si prendesse del tuo guaio,
te ne potrebbe far un altro paio.
Castrato sei e se vorrai godere,
falle anche tu col buco del sedere.
Re:
Accorrete Cortigiani, Duchi, Principi Baroni,
Nobiluomini, Visconti dai ben solidi coglioni,
voi pulzelle, maritate, nobil Dame. Castellane,
che battete di gran lunga le piil celebri puttane,
tralasciate le chiavate, i rasponi ed i pompini
sospendete un sol momento i consueti ditalini.
Ifigonia, la sovrana, accecata dal dolore,
si mangio’ le rosse palle dell’augusto genitore.
Addio vergini belle. che lasciaste L’imene
sotto la forte punta del mio robusto pene.
Addio peli rosati di donne e di bambini,
addio lingue sapienti maestre di pompini,
addio nobile uccello, piega da questa sera
la grossa audace testa, un giorno tanto altera.
Finite son purtroppo le giostre e k tenzoni
che finora facesti per mezzo dei coglioni.
Addio nobile uccello un giorno tanto grande,
da giungere alle stelle con poderoso glande,
Signore della vulva. terrore dello sfintere,
che mille e mille volte furente come un toro,
dilaniasti le ceste giungendo nel piloro;
che mille e mille volte, con mosse agili e strane,
metteste a repentaglio le trombe falloppiane.
Tu, che mai cedesti a seghe ed a pompini,
stavolta fosti vittima di due denti canini.
Dormi! Da questa sera sars tuo cimitero,
in segno di cordoglio, un sospensorio nero.
Da oggi tu, negletto, starai nelle mutande,
nC piil le tingerai con il possente glande.
Morire ben dovevi in nobile tenzone
e invece, miserello, moristi da coglione!!!
Avrei bramato di perdere anche il cazzo,
ma perderlo da prode nel gioco del rampazzo.
(Il Re si apparta piangendo)
Cerimoniere :
Ti sara’ dato il trattamento duro
d’esser legata con la fica al muro.
Il popolo sfilera’ e tu con l’ano
farai da monumento vespasiano.
Ifigonia:
Sognavo un cazzo forte da bambina,
percio’ pregavo Giove ogni mattina,
che’, come un giorno avvenne per Enrica (mia sorella)
potesse capitarmi nella fica
un poderoso e ben tornito cazzo
per farmene per sempre il mio sollazzo.
Cosi non fu! E la Giustizia grande
che gioia e pur dolore in terra spande.
volle che fossi, per crudel destino,
moglie di un detestato culatino!!!
Addio per sempre, Spiro Kito sposo,
mi butto pel dolor nel water closo.
Tu porrai fin, ti prego, alla mia pena,
tirando lentamente la catena.
Prima che qualcuno possa trattenerla, Ifigonia si getta a capofitta nel water closed. Spiro Kito,
ubbidendo ai suoi ultimi voleri, tira lentamente la catena.
(Tutti si inginocchiano pregando, mentre una salva di scorregge saluta la moritura.)