Un racconto inedito di Cristiana Danila Formetta
Sento la tua voce che mi ordina di tendere di più le braccia, fin sopra la mia testa. Così è più facile, dici, legarmi i polsi alla testata del letto.
Tu adori questo letto antico, con le alte sbarre in ottone, una via di mezzo tra l’alcova di una principessa e una prigione. Ma non c’è prigione, se resta ancora una via di fuga. Per questo hai detto che volevi rendere le cose più difficili.
Vuoi bendarmi, ma la sciarpa di seta che hai scelto per me, non fa onore alla tua intelligenza. È trasparente, e se provo a sollevare le palpebre posso vedere il tuo corpo in controluce. Vedo le spalle larghe e il tuo torace ampio che mi sovrasta mentre, con delicatezza, stringi di più la benda, fermandola con un nodo proprio dietro la mia testa. Vedo la tua fronte alta, il cranio rasato con cura, vedo perfino la catenina d’argento che ti ostini a portare al collo.
Ti ho già detto che quella ridicola collana ti fa assomigliare ad un marinaio turco?
No, non l’ho fatto. Non potrei mai dirti che stai sbagliando tutto, ora che ti affanni a completare il tuo piccolo capolavoro. Ma io ti vedo, e non mi sfugge quella piccola ruga sulla fronte, che si è formata quando hai stretto la corda che mi ferma le caviglie, con troppa forza ed entusiasmo.
Mi hai sentito gridare amore mio?
Ti è piaciuto?
Sì, certo. Ma per un istante hai avuto anche paura.
Hai paura di farmi male, perché nel tuo cuore questa è l’ultima cosa che desideri.
Nel cuore da lupo che tu hai, e che a me sempre si rivela, a dispetto dei travestimenti che porti, della sicurezza di cui ti fai vanto, del sarcasmo, delle parole sprezzanti che mi getti addosso nei momenti di collera. A dispetto perfino di questa benda che mi copre gli occhi, io vedo ancora il tuo cuore che sanguina come un animale ferito. Un animale in trappola.
La tua trappola.
Ti sfili la T-shirt nera con un gesto che trovo troppo plateale. Poi slacci la cintura, e con un movimento rapido la fai scivolare fuori dai passanti dei jeans. Arrotoli un’estremità attorno al polso, e nascondi la fibbia all’interno della mano. Poi ti fermi a ancora a guardare la tua opera. Esiti. Ma all’improvviso arriva il primo colpo. La striscia di cuoio si abbatte sul mio ventre, lasciandomi una ferita in diagonale, che parte da sotto il seno e arriva a lambire l’ombelico. Non ho nemmeno il tempo di gridare che subito arriva il secondo ad accompagnare, parallelo, il primo. Il terzo mi sferza una coscia. Il quarto, il più doloroso, è troppo vicino alla faccia, e fa un rumore secco, come di castagne che scoppiano sul fuoco. Il quinto è fuori dal tuo controllo. Hai lasciato andare la fibbia troppo presto, e il metallo mi lacera uno zigomo.
Mi accorgo che qualcosa di caldo mi scorre sulla faccia. È sangue, e insieme ci sono le tue lacrime. Non faccio fatica ad aprire gli occhi, ora che il nodo della benda si è allentato. Allora ti vedo in ginocchio ai piedi del letto, che piangi con la testa fra le mani.
«Mi dispiace», dici tra i singhiozzi. «Mi dispiace davvero, perdonami…»
È un dolore immenso quello che provi, più forte anche del dolore che sento adesso nei muscoli e nel cuore. Vederti così è una pena che mi spezza l’anima in due, che mi fa maledire queste corde che mi legano, e che non permettono alla mia mano di posarsi su di te.
«Vieni qui» ti dico, nemmeno fosse una preghiera. E tu subito ti affretti a pulire il sangue che m’imbratta la faccia. Poi tagli uno dopo l’altro i nodi che hai fatto con tanta cura, e mi sollevi delicatamente. Mi tieni tra le braccia e mi porti in bagno. Fai scorrere l’acqua, me la passi sul viso, e con un batuffolo d’ovatta intriso di disinfettante inizi a tamponare lì dove c’è il taglio. E tutto questo senza smettere mai, nemmeno per un attimo, di chiedere scusa per quello che hai fatto. Per quello che sei e che non volevi essere.
Continuerai così, a chiedere il mio perdono per qualche tempo.
Una settimana, forse due.
Ogni giorno le tue scuse si faranno più forti, mentre le accompagnerai ai teneri gesti, alle premure, e alle gentilezze che seguono sempre i momenti come questi. Perché nei giorni che verranno, tu mi amerai un po’ di più. Fino alla prossima volta. Fino a quando non avrai escogitato un nuovo gioco, più crudele, più doloroso. Un gioco sempre diverso, che ogni volta ti farà innamorare di me con maggiore intensità. E ti legherà a me, senza l’ausilio di corde o di minacce. Perché questo è il segreto, amore mio.
Questo è il gioco dove io vinco, e tu perdi.
[ © 2009 – Cristiana Danila Formetta ]